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ELOGIO DEI MERCATINI – IMPORTANZA SOCIALE DELLE BANCARELLE

Sulle pagine milanesi del Corriere della Sera di sabato 8 marzo è stato pubblicato questo simpatico articolo dello scrittore e giornalista Luca Goldoni.

 

Durante la notte gli ambulanti di Seriate, Buccinasco, Treviglio, Trezzo d’Adda, si muovono con i loro furgoni, la cui vetustà si sposa alla più avanzata tecnologia: infatti, appena raggiunto lo spazio di parcheggio, dal loro tetto si allungano tentacoli telescopici che stendono teloni, tende e tendine trasformando un autocarro in un padiglione fieristico con tutto in mostra, scarpe, orecchini, spille, collane, vimini, ceramiche, tritacarne, cravatte, abiti da sera, bikini.

Ed è qui in questa Expo casareccia che si radunano migliaia di casalinghe milanesi ferratissime in mercatini dell’hinterland, calendario con le prime o le ultime domeniche del mese, i secondi sabati o i terzi venerdì, gli orari, le mappe stradali, le specialità (lingerie, oggettistica, arte e benessere, bric a brac, modernariato, scambio e baratti). Si aggirano spiritate fra banchi e banchetti, toccano, provano, si strappano di mano, tirano sul prezzo e, quando acquistano, non è un acquisto ma un trofeo, il loro viso stravolto e raggiante lo conferma.

Soltanto nei bazar dell’oriente, gli oggetti costano pochi denari e migliaia di parole, come al mercatino. Ho assistito una volta a un duro scontro svoltosi a una bancarella di orecchini: una giovane signora frugava nell’aiuola multicolore, pescava sull’arancione, appendeva nervosamente ai lobi, s’impossessava di una scheggia di specchio contesa fra decine di altre donne, si guardava i grappoli penduli, se li strappava, li ributtava nell’aiuola, pigliava al volo i grappoli scartati da un’altra signora, rifaceva l’esame scheggia. Finalmente si mise quieta, aveva trovato qualcosa con la gradazione giusta. Qua, qua – cominciò a gridare per richiamare l’attenzione di un toro sui cinquant’anni che, dall’altra parte del banco, cercava di seguire quel mulinare di orecchini da un lobo all’altro – quanto vuole di questi così? Sarebbero cinquanta – disse il toro con voce bassa – ma per lei faccio quarantacinque. La signora fece una risata stridula. Va bene, tagliò corto il toro, mi dia quaranta. La signora fece un’altra risata.

Mi allontanai, fendendo la calca verso un banco di plaid, maglioni, guanti da sci: e vidi uno spettacolo edificante, un tedesco magro, pallido provava un maglione dietro l’altro, gli andavano tutti larghi, la moglie glieli passava rapidamente come fanno i muratori con i mattoni e lui, si sfilava e s’infilava disciplinatamente, guardava mansueto la moglie che seguitava a dire nein, e finalmente, quando se ne provò uno che gli cascava meno degli altri, disse ja, ja e si fece dire il prezzo e cominciò anche lei a far delle brevi risate gutturali, perché anche i tedeschi, ormai hanno imparato a negoziare. Intanto la signora degli orecchini ha strappato trenta euro e non è ancora contenta. “Gliene do venticinque e me li porto via”. Ma il toro si è seccato: signora, dice, se ci mettiamo d’accordo glieli do per niente.

Mortificate da un anno di acquisti a prezzo fisso, spiazzate dagli insulsi commessi cui non si può chiedere “quanto mi fa?”, spente nell’atavica vocazione mercantile dalla civiltà dei consumi pianificati, riscoprono la voluttà delle contrattazioni, degli estenuanti bracci di ferro, dei vado via. E in questi tempi grami, oltre al folklore strapaesano, un po’ di spending rewiew non guasta.